Vivere 122 anni come Jeanne Louise Calment

La storia incredibile della persona più longeva del mondo 

Vivere 122 anni e 164 giorni, a dispetto del tempo e senza perdere per un attimo il significato dell'esistenza. Un record raggiunto solo da una donna al mondo. La francese Jeanne Louise Calment, nata nel 1875 ad Arles e scomparsa il 4 agosto del 1997. L'essere umano più longevo di sempre, vincitrice del titolo di decana dell'umanità che le è stato riconosciuto dal Guinness dei primati nell'88. Una vittoria che porta il nome e il volto di una donna che ha condotto una vita estremamente attiva. Tanto da aver iniziato a praticare la scherma a 85 anni, continuando ad andare in bicicletta fino a cento, e a fumare fino a 118. Insomma, quasi un miracolo, anche se casi di longevità come il suo non sono stati rari. Jeanne Louise Calment era l'ultima di quattro figli, in una famiglia tradizionalmente longeva. Suo fratello visse 97 anni, suo padre 93, sua madre 86.

Una donna che in questa lunga e densa vita ha incrociato i destini e le storie di gente comune ma anche di personaggi d'eccezione. Come quando nel 1885, aveva partecipato con la sua famiglia al funerale dello scrittore Victor Hugo, al Pantheon di Parigi. Nel 1888 l'incontro con il pittore Vincent Van Gogh, in visita al negozio di suo padre. Jeanne Louise Calment raccontando quell'aneddoto, descriveva impietosamente Van Gogh come "sporco, mal vestito e sgradevole", trovandolo tra l'altro "brutto, scortese e malato". E ancora, l'incontro con il poeta e premio Nobel Frédéric Mistral. L'8 aprile 1896 nella chiesa di Saint-Trophime in Place de la République ad Arles, Jeanne aveva sposato suo cugino di secondo grado, Fernand Nicolas Calment. Due anni dopo era nata la figlia, Yvonne, che però aveva avuto un destino opposto a quello della madre. A soli 36 anni, era morta di polmonite.

La signora del tempo, gli omaggi a Jeanne Louise Calment

Nel 1965, all'età di 90 anni, priva di eredi, Jeanne Calment aveva stipulato un contratto, comune in Francia, di vendita del suo appartamento condominiale en viager. Una sorta di nuda proprietà. L'avvocato quarantasettenne André-François Raffray, che pensava ad un affare, aveva accettato di pagare una somma mensile sino alla morte della signora. Altro che affare, perchè la Calment era sopravvissuta per più di trent'anni, mentre l'uomo era stato stroncato da un cancro al colon nel dicembre del '94. Solo quando raggiunse quota 110 anni, Jeanne Louise si trasferì in una casa di riposo. Il 21 giugno 1986, con la morte di Eugénie Roux, divenne la persona più longeva di Francia. Nel '90, quando uscì nei cinema canadesi il film 'Vincent et moi', dedicato a Vincent van Gogh, Jeanne partecipò al film nel ruolo di sé stessa diventando, coi suoi 114 anni, l'attrice più anziana di tutti i tempi.

La vita invidiabile di questa donna è stata raccontata nel 1995, in un documentario francese intitolato 'Oltre i 120 anni con Jeanne Calment'. Ancora omaggiata per questo dono straordinario di un'esistenza secolare, nel '96 la casa di riposo dove viveva aveva lanciato un CD, 'Maîtresse du temps' (La signora del tempo). Con la voce di Jeanne che ricordava la propria vita, mista a tracce di rap e altri generi musicali. Per lei sembrava impossibile arrivare al capolinea, eppure il 4 agosto di ventun anni fa è giunta all'ultima fermata di questo viaggio fuori dal comune. Mentre passava i suoi ultimi giorni alla casa di riposo 'La Maison du Lac'. Per 122 anni e 164 giorni è stata testimone dell'umano sogno di tendere all'infinito. Dopo la sua morte, lo scettro del primato mondiale di persona più anziana in vita è passato alla canadese Marie-Louise Meilleur.

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Calamity Jane, la storia del primo pistolero donna

Il primo agosto del 1903 la scomparsa di Calamity Jane

Per essere una donna nel selvaggio West ci vuole fegato, e lei aveva coraggio da vendere. Oltre a una mira da far impallidire criminali e sceriffi. Calamity Jane, pseudonimo di Martha Jane Canary-Burke, è stata il primo pistolero donna della storia. Scomparsa il primo agosto di 115 anni fa, la signora più anticonformista della frontiera americana, era uno spirito solitario e avventuriero. Cavallerizza impareggiabile, eroina intrepida, pistolera infallibile. Che spesso vestiva da uomo ed esibiva armi, come testimoniano le tante fotografie in cui appariva. Ritratta ora col boccale in atto di brindare, ora in sella vestita da scout, ora col Winchester in pugno. Nativa del Missouri, Calamity Jane era nota per la sua attitudine alla sregolatezza, al gioco d'azzardo e all'alcol. Una vera celebrità in una società dalla visione puritana dell'universo femminile. Dove la donna doveva limitarsi a badare alla casa e ai figli.

Ecco perché l'anticonformismo della Burke, appariva singolare e riprovevole agli occhi dei più. E soprattutto delle donne, che non vedevano di buon occhio quel vizio dell'alcol. Una famosissima canzonetta che le donne amavano cantare ai mariti, dava il senso di come la pistolera fosse mal vista : "L'uomo che beve il vino rosso non avrà mai il mio cuore, l'uomo che è un bevitore di whisky non udirà mai il fruscìo del mio corsetto". Jane, totalmente analfabeta, difficilmente riuscì a portare a termine un lavoro, anche perché licenziata molte volte. Soprattutto durante i lavori al seguito di carovane. Qui i comportamenti considerati amorali erano puniti e osteggiati, tanto che nella stragrande maggioranza dei casi l'utilizzo di sostanze alcoliche era proibito per tutta la durata della marcia. E ancora il lavoro al Wild West Show di Buffalo Bill,  poi come cercatrice d'oro.

La storia con Wild Bill, tra finzione e realtà

Calamity Jane era una vera pistolera e una combattente. Non aveva infatti rinunciato a partecipare agli scontri militari con i nativi indiani. Proprio durante uno di questi conflitti, a cavallo tra il 1872 e il 1873, secondo la leggenda, si era guadagnata il soprannome di Calamity Jane, nel Wyoming a Goose Creek. Nel 1876, si era stabilita nelle Black Hills, in South Dakota. Qui aveva fatto amicizia con Dora DuFran, per la quale lavorava occasionalmente. E durante uno dei viaggi al seguito delle carovane, aveva conosciuto James Butler Hickok, conosciuto anche come Wild Bill Hickok. Il loro rapporto è ancora oggi oggetto di controversie. C'è chi sostiene che tra i due ci fosse una forte passione amorosa, e chi invece ritiene che Wild Bill nutrisse, nei suoi confronti, una vivida antipatia.

Fatto sta che dopo la morte di Wild Bill, la pistolera più famosa del West aveva rivendicato di essere stata sposata con lui, e che egli fosse il padre di sua figlia Jean, nata tre anni prima. Ad avvalorare la tesi di una loro relazione furono trovate, solo dopo la morte del presunto padre, alcune lettere da lei indirizzate alla figlia, che affidò a un tale Jim 'O Neil. In queste Jane dichiarava alla bambina, allora di quattro anni, la paternità di Hickok. L’intento della paladina dell'anticonformismo, con quelle lettere, non sarebbe stato quello di instaurare un dialogo alla pari, bensì quello di delineare ed affidare all’ignota erede un proprio ritratto, per certi versi molto vicino ai toni di un testamento spirituale. Per Janey era realmente disposta a tutto, sia a far resuscitare una femminilità troppo presto rigettata, sia a leggere ed istruirsi per ingentilire la propria immagine.

Calamity Jane in un film e in un fumetto di Tex Willer

La storia di questa donna di frontiera è raccontata nel film diretto nel '53 da David Butler, 'Non sparare, baciami! (Calamity Jane)'. Non solo. La coppia Calamity Jane e Wild Bill appare in un fumetto di Tex Willer. Qui la donna vendica la morte del suo amato lasciando ad ognuno dei cinque assassini una delle carte da gioco che aveva nelle mani Wild Bill al momento della sua uccisione. Di fianco alla tomba di Wild Bill Hickok, nel cimitero di Deadwood, è stata scavata quella di Calamity Jane. Sarebbe stata lei a volerlo, per riposare in eterno di fianco all’uomo che amava. Qualcuno invece pensa si tratti di leggenda, convinto che la pubblica opinione volesse vedere qualcosa che non c’era, allo scopo di unire le due icone western in un unico romanzo rosa.

Un altro mistero è quello dell'aspetto di Calamity Jane: un maschiaccio oppure una bionda attraente, come la descrive Gino D’Antonio nell’episodio 'Vento d’autunno' della serie a fumetti 'Storia del West'. E anche nel film 'Non sparare, baciami', c'è la bella Doris Day nei panni dell'eroina in gonnella con la pistola. Intrepida guerriera della Frontiera, la realtà però ci parla di una donna dai modi rozzi la cui femminilità era spesso sepolta sotto un atteggiamento sfrontato e poco aggraziato. Vestiva, parlava, cavalcava e sparava come un uomo. Ma è stata, in fin dei conti, una figlia anticonformista del suo tempo.

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Anna Marchesini, due anni senza la regina delle imitazioni

Due anni fa la scomparsa dell'attrice comica

Dalla Signorina Carlo, alla sessuologa Merope Generosa, dalla Sora Flora alla Sora Ines. Anna Marchesini era tante donne, racchiuse in un volto unico che tra caricature e frasi irriverenti e dissacranti, sapeva conquistare al primo sguardo. L'attrice comica, regina delle imitazioni e donna poliedrica dalle mille sfaccettature, ha lasciato un vuoto assoluto nel suo pubblico. Prima allontanandosi dal palcoscenico per quell'artrite reumatoide che l'ha divorata, fino alla sua scomparsa, il 30 luglio di due anni fa. Quel giorno di luglio in cui calava il sipario su questa interprete straordinaria delle maschere e delle verità della nostra Italia, c'era poco da sorridere. Lei che in un modo straordinario ha vestito i panni di attrici, studiose, sessuologhe e parti femminili cucite addosso senza imperfezioni.

E se nei panni della telegiornalista del tg1 si rivolgeva ai telespettatori con una domanda assillante: "Secondo voi sono una che ci sta al primo colpo?", in quelli della fata turchina Lollo, il tormentone era: "Sì sono la fata turchina, ti ho sentito piangere e mi sono scapecollata qua". E "Dai che ti ridai, e dai che ti ridai", altra sua celebre espressione di successo, nella sua carriera Anna Marchesini ha interpretato oltre un centinaio di personaggi. Come 'solista' che sapeva correre da sola, ma anche fondendosi alla perfezione nella comicità del mitico Trio Marchesini, Lopez e Solenghi, con cui aveva debuttato nell'82, su Radio 2 col programma radiofonico 'Helzapoppin'. Tre anni dopo, con le quaranta puntate di 'Domenica in' nel 1985/1986, il Trio era stato premiato come rivelazione dell'Anno.

Dal teatro alla tv nell'amato Trio Marchesini Lopez Solenghi

Originaria di Orvieto, classe '53, nel 1976 la Marchesini era entrata all'Accademia nazionale d'arte drammatica Silvio D'Amico diplomandosi come attrice di prosa. Ancora allieva all'accademia, aveva esordito nello spettacolo 'Il borghese gentiluomo' di Molière. Nel '79 era entrata nella compagnia teatrale al Piccolo di Milano. Tre anni dopo aveva incontrato per la prima volta Tullio Solenghi, lavorando con lui in un programma svizzero per italiani. L'attrice era impegnata anche in un'intensa attività nel campo del doppiaggio, che durante la sua carriera ritroverà in varie occasioni. Era stata infatti doppiatrice di Judy Garland ne 'Il mago di Oz', nonché di numerosi ruoli in cartoni animati trasmessi nei primi anni Ottanta. Proprio in quell'ambiente aveva incontrato Massimo Lopez, entrambi alle voci dei protagonisti della serie animata 'Supercar Gattiger'. Da allora era iniziata l'avventura del premiato Trio.

Prima la grande fama acquisita con 'Domenica In'. Poi 'Fantastico 7', programma grazie al quale erano diventati noti a livello mondiale per uno sketch considerato offensivo nei confronti della madre di Ruhollah Khomeyni. Malgrado l'imbarazzo internazionale, questo varrà loro la partecipazione a spettacoli Oltreoceano, al Lincoln Center di New York e a Buenos Aires. Il grande impatto sul pubblico e il loro talento comico li aveva così lanciati sul palco dell'Ariston di Sanremo per ben tre volte, dall'86 all'89. E ancora, il culmine della fama nel '90, con 'I promessi sposi', rilettura parodistica dell'omonimo romanzo manzoniano, trasmesso su Rai 1 in cinque puntate, con ascolti pazzeschi che avevano sfiorato i 17 milioni. Poi nel '94, lo scioglimento del Trio, a cui era seguita una breve collaborazione Solenghi-Marchesini interrotta l'anno dopo. Fu la fine di un boom di comicità durato più di dieci anni.

Dal Trio alla carriera da 'solista' di Anna Marchesini

Anna Marchesini era tornata in tv da solista. Nel '98, in trasmissioni quali 'Quelli che il calcio' e 'La posta del cuore'. Lo strepitoso rinato successo l'aveva vista ancora a Sanremo, al fianco di Fabio Fazio, interpretando personaggi come Rita Levi Montalcini e Gina Lollobrigida. Nel 2000, la pubblicazione del libro 'Che siccome che sono cecata' (motto caratteristico di uno dei suoi personaggi più conosciuti, la signorina Carlo), avvenuta nella parentesi in cui la Marchesini era impegnata di nuovo a teatro. Il suo primo amore. "A teatro metto a bollire il cuore", ripeteva in una delle sue bellissime frasi. Poi nel 2008 ancora la televisione, dopo una lunga assenza per la sua malattia, nella celebrazione dei 25 anni di attività del Trio. Tre anni più tardi, il suo primo romanzo 'Il terrazzino dei gerani timidi' che aveva venduto oltre 60mila copie. Nel 2014, sempre più provata dalla malattia, era stata ospite alla trasmissione 'Che tempo che fa' per presentare il suo libro 'Moscerine'. In quella ultima apparizione tv, l'attrice, nonostante le difficoltà nei movimenti e nell'articolazione del linguaggio, si era mostrata ancora una volta nella sua incredibile autoironia.

Allora aveva annunciato che uno dei racconti del libro, 'Cirino e Marilda non si può fare', sarebbe diventato uno spettacolo teatrale. Spettacolo portato in tournée in tutta Italia, interrotto improvvisamente a maggio del 2016, a causa del peggioramento delle sue condizioni di salute. La mattina del 30 luglio 2016, all'età di 62 anni, la regina delle imitazioni muore pochi giorni dopo aver presenziato alla laurea della figlia. Le sue ceneri sono state tumulate nel cimitero di Orvieto, nella cappella di famiglia. Ma anche su questo particolare l'attrice comica non ha perso l'autoironia. Sul suo sito ufficiale, ricordando gli esordi nelle stanze della sua amata Accademia d'Arte Drammatica Silvio d'Amico, campeggia la sua frase: "Ho già adocchiato una vetrinetta in sala riunioni con un piccolo cofanetto verde di porcellana, credo. Ritengo sia ideale per contenere le mie ceneri. E' una aspirazione che piano piano troverò il coraggio di far uscire alla luce. Che detto di un mucchietto di ceneri non è appropriato".

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Il Signore degli anelli, capolavoro fantasy senza tempo

Il 29 luglio del '54 la pubblicazione del romanzo fantasy

Ambientato alla fine della Terza Era dell'immaginaria Terra di Mezzo, tra elfi, hobbit, stregoni e personaggi oscuri. 'The Lord of the Ring', Il Signore degli Anelli, è sicuramente il romanzo high fantasy più celebre del ventesimo secolo. Scritto dall'autore britannico John Ronald Reuel Tolkien e tradotto in trentotto lingue, con decine di riedizioni ciascuna e con un successo straordinario. Il 29 luglio 1954 l'editore inglese George Allen & Unwin pubblica questa pietra miliare della letteratura fantasy. Romanzo pubblicato in tre volumi: 'La compagnia dell'anello', 'Le due torri' e 'Il ritorno del re'. Gli avvenimenti della Terra di Mezzo, regione dove maghi, hobbit, ed altre strane creature sono minacciate dalle orde fameliche del redivivo Sauron. Tolkien, studioso di filologia, condisce il racconto con dettagliate descrizioni di quel mondo ed inventa persino la lingua parlata dai suoi elfi, il quenya. Ispirandosi in parte al finlandese.

Il Signore degli Anelli ottiene rapidamente un enorme successo, fino alle trasposizioni cinematografiche, tra le quali i recenti colossal diretti da Peter Jackson. La sua trilogia, ha guadagnato ben diciassette premi Oscar. La narrazione comincia dove si era interrotto un precedente romanzo di Tolkien, 'Lo Hobbit'. L'autore usa lo stratagemma dello pseudobiblium per collegare le due storie. Entrambi i romanzi sono in realtà una trascrizione di un volume immaginario, il 'Libro Rosso dei Confini Occidentali'. Un'autobiografia scritta a quattro mani da Bilbo Baggins, protagonista de 'Lo Hobbit', e da Frodo, eroe del Signore degli Anelli. Questo secondo romanzo, tuttavia, si inserisce in un'ambientazione di più ampio respiro rispetto a quella del primo, costretto dai limiti della favola per bambini, attingendo a quel vasto corpus storico, mitologico e linguistico creato ed elaborato dall'autore nel corso di tutta la sua vita.

La missione epica della Compagnia dell'Anello

Il Signore degli Anelli narra della missione epica di nove compagni, la Compagnia dell'Anello, partiti per distruggere il più potente anello del potere, un'arma che renderebbe invincibile il suo malvagio creatore Sauron se tornasse nelle sue mani, dandogli il potere di dominare tutta la Terra di Mezzo. Vicende dove domina l'esternazione del profondo interesse che Tolkien aveva per la religione. Molti temi teologici, come la battaglia del bene contro il male, il trionfo dell'umiltà sull'orgoglio, e l'attività della grazia divina. E spazi dal concetto di morte e di immortalità, di misericordia e di peccato, di resurrezione, salvezza e sacrificio fino alla giustizia e al libero arbitrio. Lo stesso Tolkien rende esplicito il fatto che il passo "non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male" del Padre Nostro è stato al centro delle lotte interiori di Frodo contro il potere dell'Unico Anello. Teologia ma anche mitologie del nord Europa.

Gli Elfi e i Nani di Tolkien sono largamente basati sulla mitologia norrena. Nomi come 'Gandalf', 'Terra di Mezzo', che nella mitologia scandinava è uno dei nove mondi di cui è composta la realtà. Anche i nomi dei Nani, direttamente derivati da miti scandinavi. La figura di Gandalf, in particolare, è influenzata dalla divinità germanica Odino, nella sua incarnazione di un vecchio con una lunga barba bianca, un cappello a tesa larga e un bastone; Tolkien stesso disse di pensare a Gandalf come un viandante odinico. E ancora, nel romanzo ci sono richiami all'infanzia dell'autore, a Sarehole (un villaggio adesso parte di Birmingham) tra paesaggi e personaggi. La Contea e i suoi dintorni pare siano stati modellati sul territorio attorno allo Stonyhurst College, nel Lancashire, dove Tolkien amava vagare negli anni Quaranta.

Il successo del Signore degli Anelli tra critica e omaggi

Dopo la pubblicazione del Signore degli Anelli, che nel '57 riceve il prestigioso International Fantasy Award, molti hanno speculato sulle numerose allegorie presenti nell'opera. Come la critica alla società industriale, che distrugge e non tiene conto dell'ambiente (nell'esercito di Orchi che deforestano Isengard per avere abbastanza legname per le loro macchine). O la contestazione del significato dello stesso Anello, spesso associato alla bomba atomica. Tolkien, però, nella prefazione del romanzo scrive di non sopportare le allegorie, e che quindi nel libro non ce ne sono, almeno di volute. Al di là della critica, il successo dei personaggi creati dall'autore è indubbio. Da Aragorn, figlio di Arathorn, grande amico dello stregone Gandalf, che incontra Frodo e compagni alla locanda del Puledro Impennato a Brea. Il suo sarà un destino glorioso.

Cruciale la parte di Smeagol, un tempo un Hobbit, consumato dal potere dell'Anello, l'unica cosa a cui tiene. E' la guida di Frodo e Sam verso il Monte Fato. Ci sono Merry e Pipino, amici inseparabili di Frodo. Legolas, l'unico Elfo appartenente alla Compagnia dell'Anello, e il Nano Gimli. Ma è Frodo Baggins, piccolo Hobbit della Contea, il vero protagonista della trilogia. Eredita l'Anello quando Bilbo Baggins, decide di lasciare la Contea per intraprendere un nuovo viaggio. Da questo momento inizia l'avventura, alla volta del Monte Fato, per distruggere il pericoloso anello. “Un anello per trovarli, un anello per ghermirli e nel buio incatenarli”, due versi di un antico poema elfico diventati il tormentone del romanzo fantasy che ha esercitato nel tempo un profondo influsso culturale e mediatico. Molti gli appassionati, che hanno dato vita a innumerevoli gruppi e associazioni culturali, come le varie società tolkieniane, sparse in tutto il mondo.

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Bugs Bunny: "Ehm..Che succede, amico?"

Bugs Bunny, 78 anni fa il debutto del coniglio star

"Ehm..Che succede, amico?" Bugs Bunny, il super coniglio della Looney Tunes, star dei personaggi d'animazione più famosi al mondo, si presenta così al suo pubblico quando scopre il suo volto. Esce dalla sua tana per fare la celebre domanda al cacciatore Taddeo. Il debutto avviene il 27 luglio del 1940, eppure a guardarlo, per il coniglio scoppiettante con la sua inseparabile carota, quei settantotto anni non sembrano proprio passati. Il suo spirito è mattacchione, come si intuisce dal nome. Bugs o bugsy, termini inglesi sinonimi di 'pazzo', non lasciano molti dubbi sulla sua natura. Nato nel '38 a Brooklyn, il roditore più amato da grandi e piccini, ha avuto molti padri. A partire da Ben 'Bugs' Hardaway, che ne creò una prima versione per Porky's Hare Hunt. Bob Clampett, poi Tex Avery, che sviluppò la personalità definitiva di Bugs nel 1940. E ancora, Robert McKimson, che diede forma al suo aspetto grafico definitivo, Chuck Jones e Friz Freleng.

Mel Blanc, il doppiatore americano del coniglio superstar, ha sempre descritto il suo accento come una miscela spumeggiante e colorita di quello del Bronx e di quello di Brooklyn. In Italia invece era conosciuto come Lollo Rompicollo e Rosicchio. Solo in seguito si è affermato l'uso del nome originale, sebbene fino alla fine degli anni settanta venisse pronunciato erroneamente. Fa la sua prima comparsa nei comics americani nel 1941 nell'albo intitolato 'Looney Tunes and Merrie Melodies Comics #1' edito dalla Dell Publishing. Noto per la sua celebre battuta "Che succede, amico?". Ma anche tanti tormentoni, uno su tutti, quando sbucando da un tunnel scopriva di essere nel posto sbagliato: "Lo sapevo che avrei dovuto svoltare a sinistra ad Albuquerque". Quel coniglio pazzoide giudicato dalla critica l'equivalente moderno della figura mitologica dell'imbroglione.

Un pò lupo un po' agnello, i mille volti di Bugs

Le gesta di Bugs Bunny hanno fatto sorridere intere generazioni. I suoi scontri con Taddeo, Yosemite Sam, Marvin il marziano, a volte pure Daffy, Rocky e Mugsy, e anche Wile E. Coyote, quando questi non è alle prese con Beep Beep. Scontri da cui, quasi invariabilmente, il coniglio star esce vincitore. Perché fa parte della sua natura, e perché nei film diretti da Chuck Jones, sono in costante gara vincenti e perdenti. Jones, preoccupato che il pubblico potesse perdere simpatia per un aggressore che vinceva sempre, aveva trovato il modo perfetto per rendere Bugs simpatico facendo sì che i suoi antagonisti usassero ripetutamente minacce, sbruffonate e scorrettezze. Tre offese consecutive, alle quali  Bunny replicava, sempre o quasi: "Naturalmente, ti rendi conto che questo significa guerra" (una battuta ripresa da Groucho Marx) e il pubblico dava a Bugs il suo tacito assenso alla rappresaglia.

Il regista Friz Freleng aveva donato invece a Bugs un lato 'umano' e meno battagliero. Facendolo accorrere in aiuto di altri personaggi in difficoltà, e creando così circostanze accettabili per le sue cattiverie. Quando Bugs incontra altri caratteri vincenti come lui, tuttavia, come la tartaruga Cecil nell'episodio 'Tortoise Beats Hare', o il Gremlin di 'Falling Hare', i suoi risultati sono piuttosto scadenti. L'eccesso di fiducia tende a remare contro di lui. E ancora, durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale, Bugs Bunny è una figura leggendaria per la gente, un simbolo di grande forza capace di vincere qualunque avversità, nonostante le minime probabilità di riuscita, soltanto grazie al proprio ingegno. Molti storici dell'animazione ritengono che Bugs sia stato influenzato da un precedente personaggio Disney, Max la lepre, comparso anche in alcuni numeri di Topolino.

Bugs Bunny superstar, un francobollo per la leggenda animata

Bugs Bunny ha conquistato vette che solo le vere star possono raggiungere. Nel 1997, Bugs appare su un francobollo USA. Il numero sette nella lista dei dieci francobolli americani più popolari, come calcolato dal numero di quelli acquistati ma non usati. Bugs fa anche un'apparizione nel video contro la droga del 1990 'Cartoon All-Stars to the Rescue'. E come Mickey Mouse per The Walt Disney Company, Bugs svolge il ruolo di mascotte per i Warner Bros Studios e le sue attrazioni. Quando nel 1988 compare nel film "Chi ha incastrato Roger Rabbit" come abitante di Toon Town, la Disney deve concedere alla Warner di dare a Bugs Bunny lo stesso tempo di apparizione di Topolino.

Nel 2002, TV Guide stende la lista dei cinquanta più grandi personaggi animati di tutti i tempi come parte dei festeggiamenti per il cinquantesimo anniversario della rivista. Bugs Bunny compare al numero 1. Motivo della sua vittoria indiscussa, a detta di un giornalista della rivista: "La sua fama non è mai calata. Bugs è il miglior esempio di comicità intelligente americana. Non solo è il più grande personaggio animato, è anche il più grande comico. Era ben scritto. Era disegnato meravigliosamente. Ha appassionato e fatto ridere molte generazioni. È il migliore." Non c'è che dire per un coniglio mattacchione di ottant'anni suonati.

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Eclissi-show, aspettando la Luna rossa

L'eclissi del 27 luglio 2018 la più lunga del secolo

Quella del 27 luglio 2018 è stata già ribattezzata come 'l'eclissi lunare più lunga del secolo'. Avverrà questa sera ed è la seconda che si registra nel 2018 dopo quella del 31 gennaio scorso. Se le nuvole non si metteranno di traverso, lo show della Luna rossa sarà garantito. Un evento eccezionale per la sua durata. Perché la fase totale dell'eclissi durerà un'ora e quarantatré minuti, circa mezz'ora in più di quella di gennaio scorso, che era stata speciale per due ragioni. Era la seconda luna piena nello stesso mese, denominata 'blue moon' anche se non aveva niente a che fare con il colore blu, e coincideva con la minima distanza dalla Terra. Dunque si poteva osservare sua maestà la Luna visibilmente più grande, in un fenomeno chiamato 'super moon'.

La seconda eclissi di questa sera sarà anch'essa molto speciale. In Italia la Luna sorgerà poco prima delle 21, quando sarà già entrata in 'penombra', mentre la fase di totalità si verificherà tra le 21:30 e le 23:13, con il culmine che è previsto per le 22:22. La durata dell'eclissi lunare dipende dalla posizione della Luna mentre attraversa l'ombra della Terra. Se il nostro satellite passa proprio lungo il diametro del disco d'ombra, l'eclissi avrà una durata maggiore. La Luna passerà proprio nella zona centrale dell'ombra proiettata dalla Terra e questa è la prima ragione per la durata record dello show celeste. La seconda, è legata al fatto che il nostro satellite si troverà nel punto più lontano dalla sua orbita intorno alla Terra (apogeo). Ciò significa che apparirà leggermente più piccola nel cielo e quindi impiegherà un po' più di tempo per attraversare l''ombra della Terra.

La Luna rossa, un vero fenomeno naturale

A differenza delle eclissi solari, non c'è bisogno di particolari attrezzature per osservare quelle lunari. La luce della Luna non è pericolosa come quella del Sole e l'intero fenomeno si può osservare ad occhio nudo o con un binocolo. Un'altra differenza, rispetto alle eclissi solari, sta nel fatto che la Luna non diventa completamente nera ma mantiene un colore rosso intenso o bruno-rossastro. Da qui la definizione di 'blood moon', o 'Luna di sangue'. Il fascino indiscreto e immortale della Luna rossa, dipende da una reazione naturale. Una piccola parte di luce solare attraversa l'atmosfera terrestre, viene piegata attorno al bordo del nostro pianeta e finisce per illuminare la superficie lunare. Poiché l'atmosfera terrestre assorbe maggiormente le lunghezze d'onda più corte (colori come il verde o il blu), la luce che arriva sulla superficie lunare è dominata dal rosso.

Ogni mese, quando la Terra si trova fra il Sole e la Luna, il nostro satellite ci appare completamente illuminato, al suo massimo splendore. Assai più rare sono le occasioni in cui la Luna transita proprio sul piano dell'orbita terrestre e quindi viene a trovarsi nella zona d'ombra della Terra. In questi casi abbiamo le eclissi di Luna. In tutto questo, la Luna non sarà la sola protagonista dello show. Ci sarà la coppia più bella del cielo, entrambi 'vestiti' di rosso, vicini come accade raramente in una circostanza del genere. La Luna e Marte si sono dati appuntamento per il grande spettacolo. L'eclissi lunare aprirà lo show: sarà la più lunga del secolo e durerà ben 103 minuti. Ad accompagnarla il pianeta al suo massimo splendore: Marte si troverà infatti alla minima distanza da noi in quella che viene definita 'grande opposizione', più luminoso che mai.

Con gli occhi al cielo per lo show lunare

Per questo evento eccezionale, decine di appuntamenti e visite guidate del cielo sono stati organizzati in tutta Italia da associazioni di astrofili, planetari e osservatori astronomici. A partire dal Trentino, al Parco alla Torre di Coredo Predaia ci sarà la 'Red night' assieme al Gruppo astrofili Gemini. A Milano l'Officina del planetario e il Circolo astrofili della città punteranno i telescopi dai giardini Indro Montanelli, con la possibilità (grazie a un adattatore) di scattare una foto attraverso l'oculare con il proprio smartphone. Mentre al Planetario di Torino, nell'ambito della rassegna di musica 'Song for Stars', performance live con proiezione della volta celeste del Planetario digitale. 'La Notte della Luna' è anche l'evento organizzato a Bologna, una serata di osservazione del cielo e dell'evento astronomico sia a occhio nudo che con telescopi didattici.

E ancora, il Gruppo astrofili di Pesaro monterà i cavalletti vicino alla spiaggia, sul lungomare Nazario Sauro per una serata pubblica di osservazione guidata del cielo notturno, a partire dalle 20,30. A Roma, al tempio di Venere dalle 21 alle 24 è prevista un'osservazione pubblica gratuita, a cura del MIBACT, Parco archeologico del Colosseo e Virtual Telescope Project. Mentre a Cerveteri ci sarà l'atmosfera ideale per ammirare la 'Luna di sangue', passeggiando lungo la via degli Inferi della necropoli etrusca. Il Planetario di Palermo invece festeggia l'evento astronomico più importante dell'anno dalle terrazze di Villa Filippina. Infine, 'EclisSilius 2018' è il nome della serata organizzata a Cagliari, nel comune di Silius. Si ammireranno la Luna e Marte dalla collina panoramica, a qualche chilometro dal Sardinia Radio Telescope, anche con telescopi da campo. Per i più piccoli saranno organizzati laboratori Astrokids.

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Amy Winehouse: la regina del soul bianco dall'anima fragile

La regina del soul bianco, scomparsa sette anni fa

Una meteora che ha brillato di una grande luce nel cielo delle star della musica, disintegrata dai demoni della droga e dell'alcol e dalla sua stessa fama. Amy Winehouse, la cantante londinese regina della new generation del soul bianco, è scomparsa il 23 luglio del 2011. A soli 27 anni. Come tante leggende legate a quel numero, che ha atteso anche lei al capolinea. "Amy mi diceva sempre che sarebbe morta giovane e che sapeva che sarebbe finita nel Club dei 27. Quella di morire come una leggenda per lei era quasi una necessità". A raccontare questo particolare, Alex Foden, ex parrucchiere e amico della cantante. Per un anno e mezzo hanno vissuto insieme, nel periodo peggiore della sua dipendenza dalla droga. Proprio Foden, la descrive tracciandone un ritratto che la mostra, nell'immortalità di un mito che ha creato lo stile Winehouse. "Amy aveva un alveare in testa. Ha preso in prestito l'acconciatura da 'The Ronettes', girl group statunitense di genere pop del '59, e il trucco da Cleopatra". L'alveare dell'acconciatura vintage di quei capelli sempre un pò ribelli, ma anche l'alveare di una mente travagliata, in senso metaforico.

Il genio musicale di un'artista che ha saputo combinare magicamente elementi della musica soul e jazz degli anni Sessanta a suoni di un R&B contemporaneo, era combattuto da non pochi demoni che volteggiavano come api impazzite nella sua testa. Da quell'incontro maledetto con il marito Blake Fielder, che poco dopo il loro matrimonio a Miami nel 2007, l'aveva introdotta all’eroina, al crack e all’autolesionismo. Un’influenza dannosa, ma chi ha conosciuto davvero la coppia non ha mai negato la forza del loro amore. Un amore tornato prepotentemente il giorno del primo anniversario della morte di Amy, quando Fielder, trovando lettere e sms spediti dalla cantante prima della tragedia, aveva tentato il suicidio. "Ho portato mia moglie giù per una strada che non avrebbe mai dovuto percorrere". Ma Amy è morta sola, per avvelenamento da alcol. Trovata senza vita dalla sua guardia del corpo, nel letto della sua casa al numero 30 di Camden Square. Le sue ultime ore, le avrebbe passate bevendo massicce quantità di vodka. E guardando, come in un nostalgico addio, i video delle sue esibizioni su YouTube.

Da 'Frank' a 'Back to Black', i successi di Amy 

Il suo album di esordio, 'Frank', viene pubblicato nel 2003. Prodotto da Salaam Remi, con superficiali influenze jazz e, salvo due cover, ogni canzone è scritta, anche se non interamente, dalla Winehouse. Poi il debutto in tv nella trasmissione 'Later... with Jools Holland', cantando 'Stronger Than Me' e 'Take the Box'. L'album arriva in cima alle classifiche britanniche, quando nel 2004 viene nominato ai 'BRIT Awards' nelle categorie 'British Female Solo Artist' e 'British Urban Act'. Riceve due dischi di platino e vende un milione e mezzo di copie. Due anni più tardi, viene pubblicato a livello mondiale l'album 'Back to Black', che in Inghilterra arriva alla vetta della 'UK Albums Chart' in pochissime settimane. Negli States l'album raggiunge la settima posizione, un grande esordio per un disco di una cantante inglese nella Billboard 200. Il singolo apripista è 'Rehab', tormentone mondiale dove Amy parla del suo rifiuto di disintossicarsi dall'alcol. Il quinto singolo pubblicato nel 2007, 'Love Is a Losing Game', considerata una delle sue canzoni migliori, ha vinto il premio Ivor Novello nella categoria miglior canzone ed è stata sottoposta come testo d'esame a Cambridge.

Il 2008 è l'anno in cui vince cinque Grammy Award. Un anno molto tormentato: due giorni dopo l'uscita da una clinica nella quale era entrata per un enfisema polmonare, canta di fronte a oltre 46mila spettatori giunti a Hyde Park a Londra, per festeggiare i 90 anni di Nelson Mandela. Poi il lavoro al suo terzo disco, che Amy non vedrà mai. La morte della cantante arriva improvvisamente prima della pubblicazione di quest'ultimo lavoro, che contiene, oltre a brani inediti, anche demo di vecchia data rimasti fino ad allora sconosciuti. Prima della pubblicazione dell'album, è stato pubblicato attraverso il canale YouTube della cantante un video intitolato 'Amy Winehouse - Hidden Treasures Story'. Qui i produttori Salaam Remi e Mark Ronson, descrivendone il contenuto, dicono così addio alla loro artista. "È stata dura, ma è stata anche una cosa incredibile. Amy era una ragazza di talento. Credo che lei abbia lasciato qualcosa che va oltre i suoi anni. Ha messo un corpo di lavoro insieme che potrà ispirare una generazione non ancora nata".

Amy Winehouse stilista: "Se morissi domani, sarei una ragazza felice"

Amy Winehouse è stata anche una produttrice discografica. Nel 2009 ha fondato la sua etichetta, la 'Lioness Records', ispirata da una collana con una leonessa regalatale dalla nonna, Cynthia. Ma dopo la sua morte l'incarico di dirigente della casa discografica è rimasto scoperto, il sito web è stato chiuso ed è stata lasciata solamente la pagina all'interno di Facebook. Cantante, chitarrista, produttrice discografica e anche stilista. Alla fine del 2010 Amy collabora con il marchio britannico Fred Perry, per la realizzazione di diversi modelli di vestiti. Prima della sua morte, viene annunciata la collezione ispirata allo stile della cantante con l'alveare in testa. Lei ne è entusiasta. Parlando della collezione in un'intervista dirà infatti: "Se morissi domani, sarei una ragazza felice". Poi la sua tragica fine, e la decisione del marchio Fred Perry, in accordo con il padre della cantante, di devolvere tutti gli incassi delle collezioni create da Amy alla 'Amy Winehouse Foundation'. La fondazione, nata a settembre del 2011 per prevenire gli effetti di abuso di alcol e droga sui giovani. Tanti gli omaggi a questa artista sublime e dannata, tante le tracce lasciate nella musica nonostante il suo breve ma intenso passaggio.

La ragazza dalla voce seria, dalla potenza incredibile di tre ottave. "La sua profondità insolita e la potenza della sua voce, sono quegli elementi che hanno reso il suo tono umano e divino allo stesso tempo", disse Teresa Wiltz sulle pagina del Washington Post. Un'icona vocale che ha  influenzato molti artisti, soprattutto dopo l'ondata di successo avuta con 'Back to Black'. Da Adele, altra grande interprete del soul bianco insieme a Duffy, alle italiane Nina Zilli e Noemi. Ispirate alla luce di quella meteora divina e dannata, che nel precipitare ha lasciato un segno anche tra gli ultimi attraverso iniziative di beneficenza. Nel cuore di Amy c'erano soprattutto i bambini più disagiati, e questo non è mai stato ben noto al grande pubblico. Anche se tra gli artisti e gli enti benefici, era anche un'icona di generosità. "Chiedi a Amy e lei lo farà", era la frase pronunciata e raccontata da molti. Come quando, nel 2008, una dottoressa della clinica dove Amy era ricoverata per l'effetto collaterale causatole da alcuni farmaci, aveva detto in un'intervista: "Ha accudito alcuni pazienti e ha servito loro i pasti caldi; ci ha stupiti tutti". Amy Winehouse era anche questo. Un cuore grande in un'anima fragile.

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Missione Apollo 11: quando l'uomo sbarcò sulla Luna

Quarantanove anni fa Neil Armstrong e Buzz Aldrin sulla Luna

"Un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per l'umanità". L'astronauta statunitense Neil Armstrong, il 20 luglio del '69 fu il primo uomo a posare piede sulla Luna. Da questa immensa conquista che ha segnato il corso della storia, sono passati quarantanove anni. Quasi mezzo secolo dalla missione spaziale Apollo 11, che vide protagonisti Armstrong e Buzz Aldrin, il secondo uomo a mettere piede sul suolo lunare. Quella prima passeggiata sull'unico satellite naturale della Terra, fu trasmessa in diretta televisiva mondiale. Aldrin raggiunse Armstrong sulla superficie lunare e testò i metodi migliori per muoversi, compreso il cosiddetto salto del canguro. La disposizione dei pesi nella tuta spaziale creava una tendenza a cadere all’indietro, ma nessuno dei due astronauti ebbe seri problemi d’equilibrio. Correre a passi lunghi divenne il metodo per spostarsi preferito dai due, che trascorsero due ore e mezza a scattare foto e a raccogliere campioni di roccia.

Armstrong e Aldrin misero insieme oltre ventuno chili di materiale lunare che riportarono a Terra. Un terzo membro della missione, Michael Collins, rimase in orbita, pilotando il modulo di comando che riportò gli astronauti a casa. La missione terminò il 24 luglio, con l'ammaraggio nell'Oceano Pacifico. Lanciata da un razzo Saturn V dal Kennedy Space Center, Apollo 11 fu la quinta missione con equipaggio del programma Apollo della NASA. La navicella spaziale Apollo era costituita da tre parti: un modulo di comando (CM) che ospitava i tre astronauti (oggi in mostra al National Air and Space Museum di Washington), ed era l'unica parte che rientrava a Terra. Un modulo di servizio (SM), che forniva il modulo di comando di propulsione, energia elettrica, ossigeno e acqua. E un modulo lunare (LM), chiamato 'Eagle', per l'atterraggio sulla Luna. Fu 'Eagle' a toccare il suolo, in una zona chiamata Mare della Tranquillità.

La fine della corsa allo spazio tra Usa e Unione Sovietica

Un'impresa che concluse la corsa allo spazio intrapresa dagli Stati Uniti e dall'Unione Sovietica, realizzando l'obiettivo nazionale proposto nel '61 dal presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy. In un discorso davanti al Congresso Usa il presidente affermò: "questo Paese deve impegnarsi a realizzare l'obiettivo, prima che finisca questo decennio, di far atterrare un uomo sulla Luna e farlo tornare sano e salvo sulla Terra". E così accadde. Il sogno si era realizzato. Salutati come degli eroi una volta tornati in patria, Armstrong, Aldrin e Collins hanno ricevuto le più importanti onorificenze dello Stato.Il 20 luglio 2004 la NASA ha festeggiato il trentacinquesimo anniversario dell'allunaggio con una grande cerimonia commemorativa e con l'incontro degli astronauti ancora in vita e dei più importanti collaboratori del progetto con l'allora Presidente degli Stati Uniti George W. Bush. Di nuovo il 20 luglio 2009, i tre astronauti furono invitati alla Casa Bianca dal presidente Barack Obama per festeggiare il 40º anniversario dell'allunaggio.

Negli Archivi Nazionali di Washington, D.C. c'è una copia del comunicato stampa, datato 18 luglio 1969, preparato per il presidente Nixon, che avrebbe dovuto leggerlo in diretta TV nel caso in cui gli astronauti della missione Apollo 11 fossero rimasti bloccati sulla Luna. "Il destino ha voluto che gli uomini che sono andati sulla Luna per esplorarla in pace, rimarranno sulla Luna per riposare in pace. Questi uomini impavidi, Neil Armstrong ed Edwin Aldrin, sanno che non c'è speranza per il loro recupero. Ma sanno che c'è speranza per l'umanità nel loro sacrificio. Questi due uomini stanno donando le loro vite per l'obiettivo più nobile dell'umanità: la ricerca della verità e della conoscenza. Altri seguiranno e certamente troveranno la loro via di casa. La ricerca dell'Uomo non verrà negata. Ma questi uomini erano i primi, e i primi resteranno nei nostri cuori. Ogni uomo che guarderà la Luna nella notte, saprà che c'è da qualche parte un piccolo angolo che sarà per sempre l'umanità". Quel comunicato, per fortuna, non venne mai letto.

Neil Armstrong e il pezzo dell'elica dell'aereo dei fratelli Wright 

Neil Armstrong è deceduto nel 2012. Nel suo PPK (Personal Preference Kit) volle tenere un pezzo di legno dell'elica dell'aereo dei fratelli Wright del 1903 e un pezzo di tessuto dell'ala. Inoltre aveva con sé i distintivi di astronauta, arricchiti di diamanti, originariamente donati da Deke Slayton alle vedove dell'equipaggio dell'Apollo 1. Michael Collins e Buzz Aldrin sono invece ancora in vita. L'emblema della missione fu ideato da Collins, che volle rappresentare simbolicamente un "allunaggio pacifico degli Stati Uniti". Rappresentò quindi un'aquila calva, con un ramo d'ulivo nel becco, che atterrava su un paesaggio lunare e con una vista della Terra in lontananza. Alcuni funzionari della NASA ritennero che gli artigli dell'aquila sembrassero troppo bellicosi e dopo qualche discussione, il ramo d'ulivo fu spostato negli artigli.

L'equipaggio scelse di non utilizzare il numero romano "XI", ma preferì utilizzare l'"11" arabo, temendo che il primo potesse non essere compreso in alcune nazioni. Inoltre, scelsero di non indicare i loro nomi sull'emblema, affinché esso fosse "rappresentativo di tutti coloro che avevano lavorato per permettere la missione". In una serie di interviste rilasciate da Dean Armstrong, fratello di Neil, alla BBC e riprese dal quotidiano The Telegraph, è emerso che l'astronauta più famoso di tutti i tempi aveva pensato a cosa dire in quell'occasione speciale già qualche tempo prima di partire per la missione. Una sera, durante una partita a Risiko, l'astronauta passò a Dean un biglietto contenente la frase "One small step for a man, one giant leap for mankind". "Cosa ne pensi?", chiese Neil, e il fratello non poté che ammettere che era perfetta.

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Bruce Lee: "La vita è il nostro maestro"

Quarantacinque anni fa la scomparsa di Bruce Lee

“Se il mio cuore mi dice che ho ragione, andrò avanti anche contro migliaia di avversari". Parola di Bruce Lee, attore, filosofo e maestro delle arti marziali e del suo 'Jeet Kune Do'. Gli occhi a mandorla, lo sguardo audace e provocatorio, per l'interprete straordinario di quell'urlo di Chen che ha diffuso in tutto l'Occidente il mondo del Kung Fu. Scomparso il 20 luglio del '73, il regista cinese naturalizzato statunitense quella sera d'estate si addormentò per sempre. Nel sonno, secondo la versione ufficiale per una reazione allergica a un farmaco analgesico, a soli 32 anni. Nei nomi che gli avevano regalato i suoi genitori, originari di Hong Kong, era scritto il destino di quello che sarebbe diventato il volto delle arti marziali nel mondo.'Xiao Feng', piccola fenice, e 'Xiao Long', piccolo drago. Nato nella Chinatown di San Francisco nell'ora e nell'anno cinese del drago, dalla creatura di fuoco aveva ereditato l'esuberanza e la predisposizione al combattimento. E la parabola della sua vita breve ma intensa, impressa in un altro dei suoi tanti nomi: 'Jun Fan', che letteralmente significa 'torna ancora'.

La Cina era stata la casa dello 'shifu' (maestro) fino alla maggiore età. Dopo aver appreso le tecniche di difesa marziali nella prestigiosa scuola di Wing Chun sotto gli insegnamenti del Maestro Yip Man, fece ritorno a San Francisco. Negli States, attratto da qualsiasi disciplina da combattimento, Lee si allenò anche nel pugilato occidentale, vincendo nel 1958 il titolo interscolastico di boxe. Batté il tre volte campione Gary Elms con un K.O. al terzo round. Imparò anche rudimenti di scherma occidentale dal fratello minore Peter, all'epoca campione di questa disciplina. Questo approccio a trecentosessanta gradi distinse via via sempre più il maestro da ogni altro praticante di arti marziali, tanto che nel '66, decise di dare un nome al suo stile, ovvero 'Jeet Kune Do', 'via del pugno che intercetta'. Un'arte marziale non tradizionale, scientifico-filosofica basata sul combattimento essenziale. "La straordinaria forza del Jeet 'Kune Do' risiede proprio nella sua semplicità": per Lee significava "espressione diretta dei propri sentimenti con il minimo dei movimenti e di energia".

Filosofo delle arti marziali e re dei calci volanti

Fitness, forza e resistenza muscolare e flessibilità. Per il re delle acrobazie spericolate e dei calci volanti, il culturismo fu utile per aumentare la massa muscolare. Ma prima di tutto per lui contavano la preparazione mentale e spirituale: da quelle dipendeva il successo dell'allenamento fisico e della pratica delle arti marziali. Il 13 agosto del '70, a causa di un errato preriscaldamento dei muscoli in un allenamento di sollevamento pesi, fu vittima di un brutto infortunio. Gli esami clinici mostrarono uno stiramento al quarto nervo sacrale, nella parte inferiore della schiena. Durante il periodo di convalescenza, si dedicò alla filosofia, alle arti da combattimento e agli scritti del filosofo indiano Jiddu Krishnamurti. "Ciascuno cambi se stesso per cambiare il mondo": in questa massima di Krishnamurti era racchiuso lo spirito di Bruce. Che in sei mesi, riuscì a recuperare agilità, velocità e potenza. Il periodo di inattività fisica fu perfetto per documentare i suoi metodi di allenamento, poi raccolti e pubblicati dalla moglie Linda nel libro 'The Tao of Jeet Kune Do'.

Dopo l'infortunio, l'inizio della carriera cinematografica del divo delle arti marziali. Lee interpretò il suo primo ruolo da protagonista nei film 'Il furore della Cina colpisce ancora' del '71 e 'Dalla Cina con furore' l'anno dopo. Ottenne subito una vasta celebrità internazionale. Poi la fondazione di una propria casa di produzione, la Concord Production Inc, in società con Raymond Chow della Golden Harvest. Sotto tale egida co-produsse, scrisse, diresse e interpretò 'L'urlo di Chen terrorizza anche l'Occidente', dove comparve anche Chuck Norris. Indimenticabile la scena del duello al Colosseo, forse la più celebre delle arti marziali nella storia del cinema. Richiese tre giorni di riprese, e venti pagine di sceneggiatura scritte e disegnate da Lee. E ancora, protagonista in 'I 3 dell'operazione Drago', film che uscirà un mese dopo la sua morte con una prima mondiale al 'Graumann's Chinese Theatre' di Los Angeles. Onorato vent'anni dopo la sua morte, con una stella sulla Hollywood Walk of Fame a Los Angeles, l'enorme clamore provocato dalla sua improvvisa scomparsa ha creato numerosi film-biografia.

Le tante pellicole sul maestro del 'Jeet Kune Do'

Ogni pellicola racconta una propria versione riguardo alla morte di Lee, la leggenda delle arti marziali. Nel '75,  'Io... Bruce Lee', tre anni dopo 'Bruce Lee Supercampione', con il più prolifico sosia dell'attore, un ginnasta e stuntman taiwanese. Poi 'Dragon - La storia di Bruce Lee', nel '93, trasposizione cinematografica del romanzo della moglie Linda. E ancora, svariati film che hanno anche speculato sulla figura di Lee, interpretati da una pletora di sosia, tra Hong-Kong e Taiwan. Infine nel 2000, il regista e scrittore John Little ha rimasterizzato il materiale girato da Lee prima della sua morte. Lo ha montato seguendo passo passo le indicazioni che il maestro aveva lasciato, sulla base di alcuni appunti ricevuti dalla famiglia Lee e scritti di suo pugno da Bruce. Ne è nato 'Bruce Lee - La leggenda', film-documentario con interviste inedite e filmati di repertorio, giudicato però dai puristi incompleto e parziale visti i pochi e generici appunti lasciati da Lee.

In ogni caso, sia il mondo delle arti marziali che quello del cinema non hanno mai dimenticato 'Jun Fan', quel ragazzo morto a soli 32 anni che sembra tornare ancora e sempre. In molti lo hanno idolatrato e continuano a farlo rivedendo le sue acrobazie nei film. Il maestro delle arti marziali inventore del 'Jeet Kune Do'. Su questa disciplina che non aveva metodi predefiniti, Lee trovava il suo metodo. "Spero di liberare i miei seguaci dall'aggrapparsi a stili, modelli, o forme. Ricordate che il Jeet Kune Do è solo un nome usato, uno specchio nel quale vedere noi stessi". La sua unica maestra, la vita che ha vissuto giorno per giorno. "La vita ci educa: la vita stessa è il nostro maestro, e noi siamo in uno stato di continuo apprendimento".

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Sandro Ciotti, 'Un uomo solo al microfono'

Quindici anni fa la scomparsa del radiocronista Sandro Ciotti

"A Bari la giornata è calda e languida come gli occhi di Ornella Muti". "A Napoli la giornata è splendida, manca solo Caruso che canti O' sole mio". Frasi epiche di una radiocronaca sportiva dalla voce roca e graffiante e dallo stile unico e inimitabile, pronunciate da Sandro Ciotti. Capace di catalizzare l'attenzione del pubblico come una calamita, tra ironia, aneddoti e estrema professionalità. La voce, 'The Voice', e il volto RAI che hanno conquistato appassionati di sport e non, è morto a Roma quindici anni fa. Il 18 luglio 2003, dopo una lunga malattia, all'età di settantaquattro anni. Rai Storia ha prodotto nel 2013, in occasione del decennale della morte del radiocronista, il documentario 'Sandro Ciotti, un uomo solo al microfono', realizzato da Alessandro Chiappetta. Una ironia quella del celebre giornalista, che lo ha accompagnato sin dalla nascita.

Sandro Ciotti, un uomo solo al microfono

Figlio d'arte, del giornalista Gino Ciotti, Alessandro che poi diventerà solo Sandro, ha un padrino d'eccezione. Il poeta dialettale romano Trilussa, un caro amico del padre che influenzerà la verve colorata del futuro radiocronista sportivo. Autore di un linguaggio in cui metterà sempre la giusta dose di questa virtù. Nonostante la sua infanzia non sia rosa e fiori. Il padre infatti muore in maniera tragica quando lui ha solo 15 anni, a causa di una leptospirosi fulminante contratta nelle acque del fiume Tevere dopo essersi ferito mentre praticava il canottaggio. Da giovane studia violino e grazie a questo tirocinio da musicista, si esibisce in piccole orchestre da ballo. Poi la carriera calcistica iniziata dapprima nelle giovanili della Lazio e quindi nel Forlì e all'Anconitana in Serie C nel ruolo di mediano. Milita nel Frosinone nella Quarta Serie a cavallo tra gli anni Quaranta e Cinquanta.

Voce roca e ironia per il re delle radiocronache

Sandro Ciotti inizia la carriera giornalistica nel '54 debuttando sulla carta stampata. Collabora poi a diverse rubriche radiofoniche, da 'Mondorama' a 'Telescopio'. Ma l'esordio come conduttore avviene nel '56 con 'K.O. Incontri e scontri della settimana sportiva', una delle prime trasmissioni di satira musicale e sportiva. Due anni dopo entra in pianta stabile alla RAI, diventando inviato nel giro di pochi mesi e ideando altre rubriche di successo: da 'L'uomo del giorno' per la trasmissione Domenica Sport a 'L'angolo del jazz'. Poi, insieme a Lello Bersani, conduce per otto anni di seguito la prima rubrica radiofonica interamente dedicata al cinema, Ciak (1962). Come inviato segue 40 Festival di Sanremo, 14 Olimpiadi, 15 Giri d'Italia, 9 Tour de France e oltre 2.400 partite di calcio nella popolare trasmissione 'Tutto il calcio minuto per minuto' fino al 1996. La sua ultima radiocronaca, la partita di campionato Cagliari-Parma nell'ultima giornata della stagione 1995-1996.

Sandro Ciotti, un uomo solo al microfono

"Soltanto 10 secondi per dire che quella che ho appena tentato di concludere è stata la mia ultima radiocronaca per la RAI, un grazie affettuoso a tutti gli ascoltatori, mi mancheranno!". Così Sandro Ciotti saluterà per sempre il suo pubblico, orfano di quella voce e quello stile unici. Sempre molto ironico, l'uomo delle radiocronache calcistiche arricchite da argute e colorite osservazioni. Uno humour sempre garbato, caratteristica anche di suoi numerosi servizi radiofonici extra calcistici. Come quelli da attento osservatore del Festival di Sanremo per il giornale radio RAI, o come la serie di umoristici reportage di costume realizzati in occasione dei Campionati del mondo di calcio nella Germania Ovest, nel '74. Aveva quarant'anni quando la sua voce divenne permanentemente roca. Colpa di quell'edema alle corde vocali, che lo aveva colpito nel '68 in Messico dopo 14 ore di diretta sotto la pioggia. Eppure quella voce roca diventerà un tratto caratteristico della sua fama.

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