James Hunt: l'angelo ribelle e la 'parabola del pilota'

James Hunt e la 'parabola del pilota' a 25 anni dalla scomparsa

Dalla fame di vittoria all'inesorabile declino, come nella 'parabola del pilota' raccontata da Enzo Ferrari. Così è stato per James Hunt, il pilota automobilistico inglese, vincitore del campionato mondiale di Formula 1 nel '76, scomparso a soli 45 anni il 15 giugno di venticinque anni fa. Soprannominato Hunt 'The Shunt', ossia Hunt 'Lo schianto', per i suoi frequenti incidenti e la sua vita spavalda sia in pista che fuori, James era bello e impossibile. Un vero 'schianto' come si suol dire per i playboy come lui. Un viso d'angelo imprigionato in un'anima ribelle, irruenta e anticonformista. Ha corso per la maggior parte della sua carriera in Formula 1 (i migliori risultati li ha ottenuti in McLaren), vincendo dieci Gran Premi e un titolo mondiale per un solo punto di scarto sul ferrarista Niki Lauda. In pista non vi era indulgenza fra i due piloti, ma fuori Hunt e Lauda erano molto amici. Una rivalità agonistica raccontata in 'Rush', film pluripremiato del 2013.

James Hunt: l'angelo ribelle e la 'parabola del pilota'

La carriera di James Hunt ha seguito tra rettilinei, curve e percorsi adrenalinici la cosiddetta 'parabola del pilota'. Enzo Ferrari nel suo libro 'Piloti, che gente!', ha indicato la vita agonistica di James Hunt come perfetto esempio per spiegare questa teoria. Il pilota "prima affamato di vittoria, che spende ogni grammo di energia per raggiungere l'ambito obiettivo, superando spesso i limiti evidenti del mezzo meccanico e in una specie di trance agonistica raggiunge la vittoria mondiale. Ma poi, logorato dalla fama e dagli impegni sempre più pressanti perde quel tocco magico e si avvia prima o dopo a un lento ma inesorabile declino. Fin quando decide di dire basta e ritirarsi". Shunt ha deciso di dire addio alle corse automobilistiche a soli trentuno anni, diventando poi commentatore televisivo per la BBC fino alla sua morte, stroncato da un infarto nella sua casa di Londra, a soli 45 anni.

Dalle Mini alla Formula1, storia di un angelo ribelle

Amante dello sport a trecentossessanta gradi, James Hunt ha particato molte discipline tra calcio, tennis e cricket. Inquieto e ribelle fin da bambino: il suo primo approccio con i motori, a dieci anni, alla guida di un trattore in una fattoria del Galles, mentre era in vacanza con la famiglia. Fu per lui una vera frustrazione non avere la forza necessaria per cambiare la marcia. Ma le sfide per lui erano appena cominciate. Una settimana dopo il suo diciassettesimo compleanno prese la patente, e con il volante fu amore a prima vista. Hunt cominciò la sua carriera da pilota nelle corse con le Mini. Si iscrisse per la prima volta in una competizione a Snetterton, ma i commissari di gara, giudicando la sua vettura irregolare, gli impedirono di partecipare. Niente paura, Hunt voleva correre e non si arrese. Si mise a lavorare per una compagnia telefonica per procurarsi i soldi per partecipare alle gare.

James Hunt: l'angelo ribelle e la 'parabola del pilota'

Il 10 agosto del '69, a Mallory Park, fece il suo debutto nel campionato inglese di Formula 3. Quattro anni più tardi il suo battesimo in Formula 1 al Gran Premio di Monaco. Nel '76 si aggiudicò il titolo di campione del mondo di Formula 1. L'anno successivo altre vittorie in Gran Bretagna, Stati Uniti e Giappone. Ma la sua parabola in pista stava per finire. Nel '79 passò alla Wolf in cerca di rilancio. Sperava di poter competere, se non per la vittoria del titolo mondiale, almeno per la conquista di qualche gara. Ma la WR7, con cui la scuderia canadese intendeva disputare la stagione, si rivelò scarsamente competitiva e molto difficoltosa nella messa a punto. Sempre più demotivato di gara in gara, alla vigilia del Gran Premio del Sudafrica, il pilota inglese annunciò il suo ritiro a fine anno, salvo poi anticiparla al termine della corsa di Monaco. Un addio al vetriolo: "Lascio ora e definitivamente perché nel mondo della F1 l'uomo non conta più!", disse in un'intervista.

James Hunt e il suo vivere ogni giorno come fosse l'ultimo

Spesso al centro di critiche per il suo stile di vita controverso, come alcuni eventi che lo videro protagonista nelle corse, per la sua fama di playboy e per l'abuso di alcol. Per il suo essere anticonformista, come quando camminava a piedi nudi prima dell'inizio di ogni evento. Ma chi lo ha conosciuto davvero dice di sapere che Shunt non poteva essere altrimenti. Sempre al massimo, sempre al limite. Nel film 'Rush' colpisce una sua frase, che è l'essenza del personaggio: "Mi chiamo James Hunt. Ho una teoria sul motivo per cui alle donne piacciono i piloti. Non è una questione di rispetto per quello che facciamo, girare intorno con una macchina per ore e ore, anzi, loro pensano che siamo patetici. Probabilmente hanno ragione. È per la nostra vicinanza alla morte. Perché più sei vicino alla morte e più ti senti vivo. E più sei vivo. E loro questo lo vedono, lo sentono".

James Hunt: l'angelo ribelle e la 'parabola del pilota'

Il suo vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo. Lo sa bene Niki Lauda, che attraverso quel film che racconta la loro finta rivalità, parla di Shunt: "Per James vincere un campionato era stato sufficiente. Aveva dimostrato quello che voleva dimostrare. A se stesso, e a tutti quelli che dubitavano di lui. E due anni dopo si ritirò. Quando lo rincontrai, sette anni dopo, a Londra, io di nuovo campione e lui commentatore per la tv, era scalzo, su una bici, con una ruota a terra. Viveva ancora ogni giorno come se fosse l'ultimo. Quando seppi che era morto d'infarto a 45 anni, non ne fui sorpreso. Mi fece solo tristezza. La gente ci ha sempre visti come due rivali, ma lui mi piaceva. Era una delle poche persone che apprezzavo, e una delle pochissime che rispettavo. E ancora oggi rimane l'unico che abbia mai invidiato".

#socialmediaitaly

 

Abbiamo pubblicato altri articoli che potrebbero essere di tuo interesse. Clicca qui